La pietosa Kamakshi e l'albero delle donne sterili


Kanchipuram è una delle sette città sante dell’India, e per questo è piena di pellegrini hindu che si spostano con diversi mezzi, ma soprattutto a piedi, tra un tempio e l’altro, un po’ come a Lourdes, dove i fedeli si spostano tutto il giorno tra la Grotta, le tre Basiliche principali e gli altri luoghi di culto.

Kabir conosce bene l’ubicazione dei templi e indica all’autista i vicoli da percorrere per andare da un tempio all’altro.

Incontriamo tra i vicoli, molti dei quali non asfaltati, gruppi di pellegrini e molti carretti trainati dai buoi, che portano balle di fieno e altri materiali.
A differenza delle altre città sante, consacrate ad una divinità specifica, a Kanchipuram si venerano non una ma due delle divinità maggiori, Shiva e Vishnu.

Viaggiando spesso per l’Asia, dove gli hindu non mancano certo (solo in India sono un miliardo), da un po’ di tempo avevo cercato di approfondire, seppure in modo alquanto approssimativo, la conoscenza della teologia induista, almeno per capire a chi fossero dedicate le innumerevoli statue dalle fogge più strane che si incontrano dappertutto.
Ed in realtà è sufficiente documentarsi un po’, e soprattutto cercare di ricordare personaggi e parentele, per capire al volo il significato di gran parte delle splendide sculture che si vedono in giro.
Non di tutte, ovviamente, perché ogni divinità hindu ha una serie di repliche con nomi e aspetti diversi.

Il termine “avatar", che oggi va tanto di moda, appartiene alla teologia induista, e indica la reincarnazione di una divinità.
Vishnu, uno degli dei della Trimurti (la Trinità induista) ha un numero enorme di avatar, di cui il più famoso è l’ottavo, Krishna, soprattutto perché, a differenza dalle altre reincarnazioni in forma animale, Krishna è il dio Vishnu fattosi uomo, il che, in passato, anche in considerazione dell’assonanza fonetica, ha fatto scrivere a qualcuno di possibili interpolazioni tra la teologia induista e quella paleocristiana.
Anche Shiva ha un bel numero di avatar, tanto da farlo chiamare il Signore dai mille nomi.

Sua moglie Parvati non è da meno, ed uno degli avatar di Parvati è Kamakshi, la misericordiosa, colei che esaudisce tutte le preghiere.
E’ comprensibile, perciò, come uno dei più bei templi di Kanchipuram sia dedicato proprio a lei.

Stiamo attraversando a piedi le stradine polverose del centro di Kanchipuram, ci siamo fermati ad ammirare i bellissimi gopuram di un tempio sormontato dalle effigi di pavoni, e mi sono fermato a fare alcune foto.
Kabir mi richiama, perché abbiamo ancora molti templi da vedere. Il sole è a perpendicolo, sembra che voglia spaccarmi la testa, e con i quasi quaranta gradi di temperatura cerco di rasentare i muri per cercare un po’ d’ombra.
Quasi attaccato al tempio dei pavoni c’è quello di Kamakshi Amman, separato solo da una stradina in terra battuta.
Attraverso senza fretta la strada, dopo aver dato la precedenza ad un carro trainato da buoi, che procede lentamente;
il conduttore mi sorride, pensa giustamente che un occidentale, per quanto evoluto, non sarà mai in grado di calcolare lo spazio di frenata di quel tipo di veicolo.
In realtà, non volevo perdermi lo spettacolo di vedermelo sfilare davanti, e faccio ancora qualche foto.
Raggiungo Kabir, che mi sta aspettando, un po’ impaziente, dall’altro lato della strada, ed entriamo insieme nel tempio di Kamakshi Amman, la misericordiosa.

Il grande tempio di Kamakshi Amman, secondo, per importanza, solo al tempio di Ekambareswara, è molto diverso da questo.
La maggior parte dei riti dell’Ekambareshwara, pur potendo contare su una superficie scoperta di circa dieci ettari, si svolgono all’interno del tempio, i cui lunghissimi corridoi, fiocamente illuminati, producono un’atmosfera mistica e a tratti quasi ipnotica.
Il Kamakshi Amman è invece contraddistinto dai grandi spazi comuni aperti entro la cinta muraria del tempio, dove i pellegrini si dedicano alle loro pratiche religiose.
Questo attenua il mio disappunto per quello che Kabir mi ha appena comunicato, e cioè che, nonostante i suoi buoni uffici non ci è consentito l’ingresso nella parte più interna del tempio, dove è in corso un rito davanti alla statua di Kamakshi, la misericordiosa.
Giriamo comunque tra gli altri bellissimi edifici del tempio, che ha ben due grandi bacini lustrali, ad est e ad ovest del corpo centrale.
In un cortile assistiamo ad un rito che sembra uscito da un libro di Salgari: due elefanti sacri, con la testa ornata da motivi dipinti con polvere bianca, benedicono i fedeli poggiando loro la proboscide sul capo.
Dopo essere rimasti ad osservare, ci muoviamo verso l’uscita posteriore del santuario e lì, in un altro ampio cortile, incontro una cosa che mi colpisce fortemente, e di cui porterò sempre vivo il ricordo.
Un vecchio e maestoso albero ricco di foglie, i cui rami, come in un grande albero di Natale, sono gravati fino all’inverosimile da centinaia di strani oggetti multicolori.



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