Jebel Hafeet : la montagna che guarda il deserto



Siamo ad Al Ain, la citta' dell'Emirato di Abu Dhabi, situata in pieno deserto, attorno ad un'oasi che, per secoli, ha garantito la sopravvivenza del genere umano in un territorio altrimenti inabitabile.

Abbiamo appena lasciato il mercato dei cammelli, che abbiamo voluto vedere di prima mattina, quando ci sono ancora molti venditori e acquirenti.

L'autista del taxi ci propone di salire sul Jebel Hafeet, la grande montagna, che domina l'abitato di Al Ain e dalle cui viscere, probabilmente, origina la fonte d'acqua dolce ancor oggi al centro dell'oasi.
Ho qualche perplessità, domando dove si arriva e cosa ci sia in cima; le risposte sono piuttosto vaghe, ma siamo lì e, considerato anche l'entusiasmo con cui ci è stata proposta, decidiamo per la salita.
L'auto attraversa una zona definita dai cartelli industriale, in realtà è un susseguirsi di capannoni adibiti a depositi di materiali eterogenei, per lo più da costruzione. Si scorgono una quantità di palletts, contenenti sanitari di produzione inglese, scatole di ceramiche di Sassuolo, ruspe americane.
Evidentemente cè un gran fervore edilizio in città.

Poi i depositi si fanno più radi, e la strada riprende ad essere circondata dal deserto, con bellissime, alte dune di sabbia le cui creste spigolose, e i fianchi ondulati, sono continuamente ridisegnati dal vento.

Ed ecco di fronte a noi, improvvisa, maestosa, la montagna: non come le nostre, dolci, contornate di verde alla base, ma una roccia nuda, brulla, aspra, che sale verso un cielo di un azzurro intenso, che fa risaltare il giallo della pietra.

E' uno spettacolo primordiale, che non lascia nulla alla fantasia. Cè in quelle rocce aride, spaccate, tutta la durezza di una natura priva del suo elemento fondamentale, l'acqua

.La strada, come tutte quelle degli Emirati, è costruita senza risparmio e curata in modo esemplare: una larga striscia di asfalto, a due grandi corsie, senza una buca o una crepa. Sale dolcemente seguendo i fianchi della montagna, assecondandone l'asprezza, quasi a volerla ammansire. Gira a larghi tornanti, una volta su un lato, una volta sullaltro, e ogni volta il panorama si apre su scorci spettacolari.Chiedo all'autista di fermarsi, per poter fotografare dallalto, ma mi rendo conto che è un paesaggio che dà sensazioni difficilmente riproducibili. Il colore della roccia, il colore del deserto, gli scorci che si perdono sempre uguali, all'infinito. Una natura selvaggia che non riesco a fermare in immagini, anche se cerco di far uso , alternativamente, di grandangolo e teleobiettivo.Salendo, si incontrano alcuni edifici governativi in costruzione, mastodontici, imponenti, collocati su costoni quasi inaccessibili, come moderni castelli medioevali.

Si sale ancora, la vista ora abbraccia un orizzonte vastissimo.

Infine arriviamo quasi in cima, su un piazzale grandissimo, che a prima vista mi sembra un enorme parcheggio, grande come quello di uno stadio, ben pavimentato, ben curato, assolutamente deserto, salvo un'altra auto, piuttosto lontano, all'altro capo del piazzale.

  • E' una sorta di grande belvedere, circondato da cancellate nere in ferro battuto con le punte di lancia dorate, come quelle di Versailles, disposte in modo da consentire l'affaccio. Dalla parte opposta a noi un piccolo posto di ristoro che però mi sembra chiuso.
    Il panorama è imponente, spettrale, non ha nulla che assomigli al nostro pianeta. Le rocce scendono verso un fondovalle lontano, indistinto, seminascosto dalla calura. L'orizzonte è indefinito, con tutte le tonalità del giallo e dell'ocra. Ricomincia a colorarsi guardando verso l'alto, verso il cielo di un azzurro intenso.

    Chiedo all'autista di stare fermo lì, voglio affacciarmi dall'altra parte, attraversando il vasto piazzale, ma mi raccomando che non mi segua con l'auto, voglio stare da solo, assaporare una sensazione che già avevo provato, in montagna: il silenzio assoluto, l'assenza di qualunque rumore, salvo, ogni tanto, il leggero sibilare del vento.

  • Dall'altra parte c'è Al Ain, ma il panorama non è dissimile: una serie di basse casette quadrate dello stesso colore della sabbia, indistinte con l'orizzonte: sembra che l'uomo, lo stesso dei grattacieli di Dubai, in questo luogo non riesca a dominare la natura, o non voglia farlo. Forse ha troppo rispetto del deserto, la sua patria di sempre, più di quanto ne abbia per la costa, che ha colonizzato di recente.

    Starei lì per ore. Non cè nulla, assolutamente nulla, ma il posto mi entusiasma.
    Ma si è fatto tardi, dobbiamo tornare indietro.

    Ridiscendiamo, ed incontriamo lo splendido hotel Mercure. Era stata una delle opzioni, nel cercare l'hotel ad Al Ain. Poi avevamo ripiegato sull'Intercontinental, un po' più vecchio ma meno caro, e ne sono contento. Il Méridien è bellissimo, ci fermiamo a visitarlo, ha una hall spettacolare e piscine che si aprono sul panorama verso il deserto, ma è isolatissimo, quasi inaccessibile, e un lungo tratto di strada lo separa dalla città. E' uno splendido rifugio di lusso per chi vuole isolarsi dal mondo circostante.

    Riprendiamo la discesa, gli ampi tornanti ci riportano alla quota del deserto.
    Ed ecco che ci si para davanti una cosa incredibile : alcune colline, forse tre-quattro ettari, verdissime, con alberi, cespugli, prato all'inglese, e irrigatori che nebulizzano acqua sui prati. Non credo ai miei occhi. Chiedo di fermarci. Voglio sapere tutto di questa cosa incredibile. E l'autista, sollecitato dalla mia curiosità, spiega: è la Mubazzarrah green zone, un grande parco voluto dall'Emiro, realizzato e mantenuto con costi altissimi in un luogo inadeguato affinché gli abitanti di Al Ain, la sera, possano passeggiare in un parco verde, come in Europa.

  • Mi vengono in mente le verdi vallate del paradiso mussulmano. Comincio a capire di più qualcosa che un europeo stenta a capire: come per questi popoli, ormai ricchi per il petrolio e immersi nel lusso, ci sia, nel profondo del cuore, il desiderio del massimo dei lussi: il verde, l'erba, ciò che noi consideriamo ovvio, scontato, gratuito, ma che loro faticano a riprodurre e che però, forse, millenni fa, copriva anche le loro terre.
by Paulex

Commenti

juliette_trivago ha detto…
Paulex, un racconto meraviglioso, pieno di stupore. Lo stesso che mi ha trasmesso. Gran finale. Il verde per alcuni é davvero un lusso e non c'e' petrolio che possa comprarlo...
Bella storia , sembrava di essere lì.
Vi volevo lasciare un saluto e un dono se volete passare da me.
Ciao buona giornata
Sisifo
A scusa il posto è
lepaginedisisifo.blogspot.com